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15/12/2023L’Argentina ha eletto il suo nuovo presidente, Javier Milei con oltre il 55% delle preferenze contro il 44% dello sfidante peronista Sergio Massa, ministro dell’Economia di cui il suo movimento ha guidato lo stato per oltre 16 anni. Una vittoria che segna l’inizio di una nuova era in un paese sempre più polarizzato e diviso al suo interno.
La Libertad Avanza (La libertà va avanti) gruppo di componenti radicali della destra argentina ha vinto le elezioni con il leader Javier Milei, economista antisistema che si definisce libertario, e che assunto la carica il 10 dicembre. Considerato l’erede di Trump, e vicino a Bolsonaro ha spiazzato i sondaggi che lo davano al 20%. Classe 1970, Javier Milei nasce a Buenos Aires da una famiglia umile – padre autista di autobus e madre casalinga – di origine italiana da parte dei suoi bisnonni paterni. È un economista e da più di vent’anni ha esercitato la professione di professore in materie economiche, tra cui macroeconomia, economia della crescita, in diverse università argentine e all’estero.
È presentato come conduttore radiofonico: travolge la sua forte personalità con un grande carisma. Si è fatto largo tra i giovani grazie a diverse apparizioni televisive dove ha travolto un certo target di pubblico grazie alle sue performance comunicative.
Grazie alle sue teorie economiche e alle sue ideologie molti lo considerano il responsabile della rinascita del liberalismo nella politica e presso l’opinione pubblica. Nel 2019, la rivista Noticias lo nominò tra le persone più influenti in Argentina.
Milei ha costruito la sua immagine durante la campagna elettorale impugnando una motosega simbolo di taglio dei “privilegi della casta” accusata della grave crisi economica in cui versa il paese. Nel suo primo discorso ha dichiarato “Oggi inizia la fine della decadenza argentina. Iniziamo la ricostruzione e a voltare la pagina della nostra storia. Riprendiamo il cammino che non avremmo mai dovuto perdere. Finisce il modello dello stato che impoverisce e benedice solo alcuni mentre la maggioranza soffre.
È una notte storica, torniamo ad abbracciare l’idea della libertà”. Ora che passano i festeggiamenti, il nuovo presidente deve affrontare diverse problematiche urgenti tra cui, in primis, la formazione del governo che vede al fianco di Milei l’avvocato Victoria Villaruel difensore di una parte di militari condannati per crimini contro l’umanità e promotrice della Carta di Madrid contro l’espansione del comunismo.
La Giustizia dovrebbe andare a Mariano Cuneo Libarona, manager e amico di Diego Maradona. Il tassello dell’economia al momento è vuoto: il futuro ministro avrà un compito chiave perché dovrebbe mantenere le promesse fatte. Tra i candidati figura il nome di Federico Sturzenegger, già governatore della Banca centrale. D’altro canto, il neoeletto deve pensare anche ai numeri in Parlamento. Al momento, la sua coalizione conta di 45 seggi. Potrebbe essere affiancato dai 93 deputati e i 24 senatori di Uxc, Uniti per il cambio. I peronisti che fanno opposizione sono ben 140. Javier Milei dovrà lavorare anche sul fronte politico per garantire una certa stabilità.
La domanda chiave è: come sarà l’Argentina di Milei? Un punto cardine del suo programma elettorale è la dollarizzazione dell’economia: l’idea di fondo, per far fronte alla volatilità della moneta nazionale e alla reputazione non tanto positiva del paese nel circuito finanziario globale, è quella di affiancare il dollaro statunitense al posto del peso per arrivare ad una sostituzione.
Per questo motivo è chiamata dollarizzazione e il suo fine è cercare di frenare l’inflazione e aumentare la fiducia degli investitori esteri che porterebbe ad una crescita. Non è semplice reperire la liquidità necessaria da mettere in circolazione. Altri punti dell’agenda di Milei sono la riduzione del 15% della spesa pubblica, la chiusura della banca centrale, il taglio delle tasse e la privatizzazione delle imprese pubbliche.
Nella parte conclusiva della sua campagna Milei ha incentivato i suoi sostenitori a non investire in titoli nazionali perché il peso argentino è una “moneta fallita”. Una politica liberista dove il rapporto tra economia e politica è autonomo, dove l’economia è governata da proprie leggi come quelle della domanda-offerta che sono più efficienti se non vi è interferenza politica.
Pertanto, questo porta ad una bassa influenza dello stato in economia. Tuttavia, la posizione dell’Argentina è molto distante da questo programma perché vi è una forte presenza del settore pubblico con sussidi, controlli ai prezzi, una molteplicità di tassi di cambio fissi che mantengono la moneta nazionale il pesos sopravvalutato.
Il divario tra il tasso di cambio ufficiale e quello informale: la differenza è che il primo è fissato dalla banca centrale con 365 pesos per un dollaro americano, invece, il dollaro blu che è un cambio informale ha superato i mille pesos per dollaro. La politica di dollarizzazione non risolverebbe gli squilibri fiscali che hanno portato l’Argentina in default, anzi potrebbe essere un ostacolo data la volontà di minima presenza dello Stato nell’economia. Il presidente propone tagli alla tassazione e alla spesa pubblica e quello che preoccupa maggiormente è il settore sociale in un contesto con un forte aumento della povertà che potrebbe portare a malcontenti popolari. Inoltre, anche il settore dell’istruzione sembrerebbe aprire la strada ad un futuro preoccupante.
Ad oggi, le percentuali parlano chiaro: i giovani argentini che conseguono un titolo universitario sono in calo rispetto alla generazione precedente.In ambito geopolitico, Javier Milei sembra dubbioso in merito ad una probabile entrata del paese nel forum dell’economie emergenti sostenuto da Xi Jinping previsto per il prossimo 1° gennaio, nell’ambito dei Brics, l’organizzazione alternativa al G7.
Pechino, da parte sua, ha espresso prudenza. La portavoce del ministero degli Esteri, Mao Ning si è limitata alle congratulazioni per la vittoria assicurando che la Cina è pronta a “lavorare con l’Argentina per continuare a coltivare l’amicizia, contribuire allo sviluppo e alla prosperità reciproca attraverso una cooperazione vantaggiosa per entrambi”.
Rilevanti sono i dati di scambi con Pechino: solo lo scorso anno si sono registrati livelli percentuali di esportazioni elevati con il 92% di soia argentina e il 57% di carne.
Dall’altra parte, la Cina ha investito nel settore energetico e precisamente nell’industria del litio. Si tratta di crescenti interdipendenze a cui è difficile sottrarsi. Da parte di Washington, Biden si è congratulato con il neoeletto presidente sancendo “l’importanza di continuare a scommettere sulle forti relazioni bilaterali”. Il suo programma guarda verso gli Stati Uniti e l’Unione europea con i quali afferma di “condividere gli stessi valori”.
di Nicole Giordano vicedirettore