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21/02/2023Un ricordo di Leopoldo Trieste, a 20 anni dalla morte.
Era il dicembre 2001.
Mi trovavo al Cinema Barberini di Roma per la prima di un film americano di cui non ho memoria. Forse non ne è ho memoria perché entrando, tra i pochi spettatori presenti in sala, avevo notato una figura distinta dal volto noto che aveva sin da subito rapito la mia attenzione.
Aveva l’espressione bonaria e gli occhi grandi, rotondi, vispi. Indossava un cappotto marrone e sotto di questo un vestito di ottima fattura leggermente più chiaro.
Ero in compagnia di Giorgia Costantino, mio aiuto regia in Inseguito opera che avevamo finito di girare l’estate precedente e che stavamo montando con tanti sacrifici. All’ingresso in sala quel signore segaligno ed elegantissimo mi irradiò come un raggio di sole grazie al suo aspetto mite in una giornata pre-natalizia e insolitamente rigida per la Capitale.
La scossa della curiosità mi spinse ancora a voltarmi verso quell’uomo, un filo di barba bianca molto curata a coprirne le gote e lo sguardo mobile che viaggiava tra le luci della sala e la mia ostinazione che mi portò a voltarmi più volte. Ad un tratto mi illuminò e mi sorrise in modo pieno e sincero annuendo con il capo come se ci conoscessimo da sempre.
Sorrisi anche io e nella memoria visiva di chi come me ha fatto delle immagini una ragione di vita, ecco un flash che mi riportava un fotogramma preciso. Lo ricordavo più giovane con una lente di ingrandimento poggiata sull’occhio destro mentre nell’altra mano stringeva un coleottero.
Il buio in sala interruppe gli sguardi, le pupille si dilatarono e la mia amica Giorgia mi spronò a guardarci il film in santa pace. Passarono pochi minuti quando la lampadina della memoria si accese chiara ed io esplosi d’impeto: –E’ Leopoldo Trieste! Quel signore è Leopoldo Trieste. L’attore che ha lavorato con Sordi e con…-
-E chi è Leopoldo Trieste?-
Ci zittirono in quindici, gli unici spettatori presenti in sala ma io, mi voltai ancora e alzai la mano per scusarmi solo con “lui” mentre nei sui occhi grandi e profondi brillavano già le prime sequenze del mediocre film vomitato dallo schermo.
L’immagine che mi era tornata alla mente in precedenza era quella di Reazione a Catena, il potente thriller del maestro Mario Bava, film in cui l’attore originario di Reggio Calabria interpretava l’entomologo Paolo Fossati alla ricerca di un cervo volante.
Leopoldo Trieste è uno di quei volti che scorrono come linfa nell’anima di un italiano, un amico di famiglia che ancora oggi si affaccia nelle nostre case nei tanti film che hanno sottolineato la storia della nostra cinematografia.
E’ il grande interprete che ha lavorato con Fellini, Sordi, Totò così come nel capolavoro di Francis Ford Coppola Il Padrino parte II in cui l’attore calabrese interpreta il ruolo dello spregevole signor Roberto “padrone” e venditore di emigranti italiani appena sbarcati in America.
Trieste è stata una maschera indimenticabile, scelto da registi di fama internazionale come Stanley Kramer o Jean Jacques Annaud per Il Nome della Rosa. Giuseppe Tornatore lo volle per interpretare il bigotto Don Adelfio in Nuovo Cinema Paradiso e, soprattutto, per L’uomo delle stelle in cui gli regalò il ruolo del “muto” per il quale l’attore ottenne un meritatissimo David di Donatello e il suo terzo nastro d’argento da “non protagonista”.
Presente in circa 150 film da Lo Sceicco Bianco, I Vitelloni, Divorzio all’Italiana; maschera grottesca e allo stesso tempo stupita, insicura ma spavalda, indelebile.
Mentre scrivo il mio pensiero corre lontano ai tanti capolavori che lo hanno visto ottimo caratterista come l’Abramo Piperno del sottovalutato e travagliato Dov’è la Libertà di Rossellini, l’amministratore Rialti de Il Coraggio, il funzionario di servizio nell’amarissimo Destinazione Piovarolo, tre pellicole da inserire nella top ten dei migliori film interpretati da Totò.
Trieste era attore puntuale, dall’attenta preparazione teatrale; un grande perfezionista che insieme a Nino Manfredi (1921) e Salvo Randone (1906) annovero tra i più americani tra gli attori di quella generazione (1900-1925).
Trieste autore sociale, impegnato, poliedrico perché culturalmente impeccabile. Trieste scrittore e drammaturgo della trilogia sulla guerra e sulla violenza che con il dramma Cronaca del 1946 affrontò per primo al mondo il tema dell’Olocausto.
Leopoldo Trieste era ed è la storia dello spettacolo e nel dicembre del 2001 mi sedeva due poltrone dietro per questo dovevo incontrarlo, dovevo parlargli, ascoltarlo. All’intervallo ero in piedi, pronto a stringergli la mano ma dietro di me ci trovai il vuoto.
Vagai come volpe con l’uva ma lo sceneggiatore de I fuorilegge con Vittorio Gasmann e I falsari di Franco Rossi non era più in sala. Tornai al mio posto e ricordai i film che realizzò da regista: Città di notte (1958) e Il Peccato degli anni verdi (1961) straordinari esempi di storie al femminile ed anche in questo un precursore insieme al grande maestro Antonio Pietrangeli: il regista che amava le donne.
Seguii il secondo tempo voltandomi raramente in direzione di quella poltrona vuota ma quando la luce si accese lo ritrovai a tre posti da me come se fosse stato catapultato da una strana forza che potremmo chiamare, per restare in ambito cinematografico: Lieto Fine.
–Maestro, buon pomeriggio.-
-Buon pomeriggio.- Rispose illuminando gli occhi sereni.
E dopo un attimo di silenzio mi chiese, –Che ne pensa del film?- rompendo il ghiaccio da fine educatore qual’era. –Insomma.- risposi. Mi sorrise e annuì. Avrei voluto raccontargli tante cose e invece gli feci i complimenti per i due film da regista.
-Li hai visti? Sei giovanissimo.-
-Studio Cinema. Ho realizzato un film, un noir … che sto montando.- Balbettai.
-Ah… un noir? Che bella cosa… – Era sincero. –e di cosa parla?-
-Del delitto perfetto.- Tagliai corto perché aveva chiuso il cappotto marrone e inquadrato l’uscita.
-Mi piacerebbe farglielo vedere. Sapesse i problemi e i sacrifici …-
Alzò le spalle e scosse il capo –E’ la normalità ma devi crederci.-
Aveva ragione e mi allungò la mano mentre Giorgia mi aspettava in fondo alla sala. -Quando il film è pronto, fammi sapere. Io vengo spesso qui, più che altro il pomeriggio a vedere… quello che fanno.- Sgranò gli occhi rassegnato e lo lasciai andare via.
Si sistemò la sciarpa sul collo e si perse per strada scendendo verso viale del Tritone. Da quel giorno lo aspettai al cinema Barberini appena ne avevo tempo ma non lo incontrai.
Tante cose erano successe in quei mesi ma, soprattutto, avevo finito il mio film: Inseguito. Un pomeriggio di novembre andai a vedere A Cavallo della Tigre di Carlo Mazzacurati e nello scuro foyer del Barberini esultai: –Maestro?- Si voltò e mi sembrò tanto più vecchio anche se aveva qualcosa che lo riportava all’epoca dei miei primi ricordi: i baffi.
Entrammo in un bar e mi raccontò che sarebbe uscito presto un film che aveva interpretato: Il consiglio d’Egitto tratto da Leonardo Sciascia per la regia di Emidio Greco.
Parlammo soprattutto di libri nei 15 minuti in cui il mio caffè divenne freddo ed imbevibile. Mi feci coraggio e dalla sacca che portavo sempre con me tirai fuori il Dvd del noir che avevo appena finito.
-Lo vedrò con piacere.- Mi disse.
-Sa, maestro?- gli confidai, -Non vogliono darmi la nazionalità italiana, io ho girato un po’ contro il sistema. Un film veramente indipendente e …-
Il suo volto si corrucciò come se avessi aperto un’antica ferita ma poi tornò sereno – E’ il tuo primo film?-
Annuii. -E allora troverai il modo di farlo girare. E’ il tuo figlio maggiore. Non puoi fermarti.-
Lo accompagnai ancora verso il cinema, lo salutai e questa volta mi dettò il suo numero di casa.
-Fra qualche settimana chiamami.- Custodì il Dvd nello stesso cappotto che indossava l’anno precedente e andò via. Viaggiai tanto per coccolare il mio noir che non poteva essere distribuito nelle sale perché “Apolide”, riuscii ad ottenere i primi premi ed un paio di proiezioni in sale off. Provai a chiamare il Maestro Trieste quel natale per gli auguri ma non rispose nessuno.
A fine gennaio ero in auto e Radio 3 diede la notizia della sua scomparsa per un infarto mentre io perdevo un faro che mi aveva appena illuminato. Una mattina incontrai un dirigente della commissione cinema per capire come potevo distribuire Inseguito che ormai aveva vinto numerosi premi internazionali, mi rispose che c’erano stati dei casi come il mio in Italia.
Feci una ricerca e scoprii che una ventina di pellicole avevano avuto lo status di Film-Apolide ed erano stati distribuiti poco e male. Guardai meglio e nella lista spiccava Il peccato degli anni verdi del 1960, secondo e ultimo film da regista di Leopoldo Trieste con Alida Valli.
Ripensai al suo stupore quando gli raccontai di Inseguito. Le lacrime “montarono” copiose e le lasciai scorrere perché sapevo che anche quello era un percorso di crescita. Avevamo qualcosa in comune e ripensai alle sue parole –Non puoi fermarti-. Con tenacia riuscii ad ottenere un incontro con il console del Perù e l’ambasciatore cubano che mi rincuorò, lo avrebbe “marcato” il suo Paese.
L’italianissimo Inseguito, il noir con Fabio Testi, Lidia Vitale, Daniele Natali e Nanni Candelari fu distribuito in alcuni paesi come esempio di Nuevo Cine Cubano.
Questo lo devo anche al breve incontro con quell’indimenticabile maestro che era Leopoldo Trieste perché è così che voglio raccontarlo o farlo riscoprire: un grande interprete, un autore illuminato, un genio mite, discreto, sempre un passo indietro rispetto alla massa, prerogativa di chi conosce e sa che basta poco per lasciare grandi eredità come è stato per me che ne scrivo oggi a venti anni esatti dalla scomparsa: 25 gennaio 2003.
Il Consiglio d’Egitto di Emidio Greco fu il suo ultimo film, opera da vedere come i tanti film citati in questo ricordo.
Di Luca Guardabascio, regista, autore e direttore artistico di Cinema Sociale99.